In questo particolare periodo, caratterizzato da un insieme di limitazioni e restrizioni dovute all’emergenza COVID-19, un problema che desta oggi incertezza e criticità nelle imprese è rappresentato dai controlli e dalle verifiche sullo stato di salute dei dipendenti e dei terzi al momento del loro accesso in azienda e durante la permanenza nel luogo di lavoro.
L’obbligo per i datori di lavoro di attenersi alle misure per il contenimento del contagio presenti nel protocollo richiamato nel DPCM del 26 aprile comporta inevitabilmente delle attenzioni in tema di trattamento dei dati personali in vari ambiti quali quello sanitario, lavorativo e privato.
Il garante, infatti, sottolinea che la sola rilevazione in tempo reale della temperatura corporea, poiché associata all’identità dell’interessato e anche se non susseguita da annotazione o conservazione, costituisce un trattamento di dati personali: non è ammessa, tuttavia, la registrazione del dato a meno che esso non superi la soglia stabilita dalla legge. Tale deroga, però, non coinvolge clienti e visitatori anche nel caso in cui la temperatura risulti superiore ai 37.5° come da disposizioni emergenziali.
L’impresa, inoltre, potrebbe richiedere ai propri dipendenti informazioni tramite autodichiarazione in merito ad una loro eventuale esposizione al contagio e che potrebbe contenere informazioni circa la provenienza da zone a rischio secondo le indicazioni OMS o riguardante i contatti che il dipendente ha avuto con soggetti risultati positivi al covid-19. Fondamentale che vengano raccolti solo i dati necessari ai fine della prevenzione del contagio, e che non vengano richieste ulteriori informazioni in merito alla persona risultata positiva o alle specifiche località visitate.
I datori, nell’ambito dei doveri in materia di sicurezza del luogo di lavoro, non possono, inoltre, comunicare il nome del dipendente che ha contratto il virus: rimane però l’obbligo di comunicare i nominativi del personale contagiato al medico competente e alle autorità competenti.
Infine, al medico competente rimane il divieto di informare il datore di lavoro circa le specifiche patologie del lavoratore: tuttavia, può provvedere a segnalare al datore quei casi in cui la particolare condizione di salute del dipendente ne suggerisca l’impiego in ambiti meno esposti al rischio di infezione.
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